Il libro-gioco tra editoria per l’infanzia e scienze cognitive

Esperienze multidisciplinari in dialogo in cerca di “antiche” e nuove domande
12 ottobre 2019 – Laboratorio Formentini per l’editoria, Milano

 

PROTAGONISTI: Emanuela Bussolati, progettista editoriale e illustratrice; Beatrice Lacchia, bibliotecaria della Biblioteca Salaborsa di Bologna; Manuela Trinci, psicologa e psicoterapeuta infantile, direttrice scientifica della ludo-biblio AOU dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze; Francesco Pavani, neuroscienziato cognitivo del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello – CIMeC dell’Università di Trento; insieme alle voci dell’associazione: Loredana Farina, presidente e fondatrice, e Diletta Colombo, collaboratrice e libraia.

 


Vietato non toccare!
“Vietato non toccare!” avrebbe detto Munari per aprire l’incontro: non si può parlare di libri-gioco senza averli prima tenuti tra le mani. I numerosi partecipanti iniziano a esplorare liberamente un grande tavolo imbandito di centinaia di libri tutti diversi, per formato, stile, storie, lingua ed epoca. Un tuffo nella varietà per scoprire questi oggetti in cartone, diversi dai pop-up, da libri colorare e dagli activity book. Un ecosistema dove nessun libro è un eroe solitario ma tutti cooperano a offrire molteplici livelli e modalità di lettura a seconda delle caratteristiche e molti spunti di riflessione per la giornata.


Per fare un libro-gioco

Per Emanuela Bussolati un progetto riesce a comunicare e far emozionare quando nasce da qualcosa che ci fa “trillare dentro”, senza preoccuparsi troppo di soddisfare tutti i gusti. Ma, con occhio a designer e architetta vicino al sentire di Ettore Sottsass, per fare un libro-gioco ogni “idea alata” deve prendere coscienza dei vincoli e dei limiti della produzione, della distribuzione e del mercato in cui sono gli adulti i mediatori degli acquisti. Allo stesso tempo non bisogna mai perdere di vista il lettore a cui ci rivolgiamo. Osservare da vicino i bambini con curiosità offre al progettista una guida: esplorano lo spazio, i materiali e i segni narrativi (le illustrazioni ma soprattutto i buchi, le pieghe, le cordonature, le fustelle etc) con tutti i sensi, usando le dita per indicare. In questa prospettiva un libro-gioco per la primissima infanzia nasce da questi quattro elementi, poi si sviluppa un contenuto che un adulto e un bambino potranno raccontare. La parola, la sequenza, la storia arrivano successivamente per rendere una lettura più condivisibile e trasversale.


Libri-gioco in biblioteca: una palestra per futuri lettori

La sala bebè della biblioteca Sala Borsa di Bologna è un punto di osservazione speciale per guardare come i bambini interagiscono con i libri-gioco. Per la loro immediatezza questi oggetti interattivi si presentano come “auto-efficaci” e “auto-evidenti”, come li definisce Beatrice Lacchia, favorendo un’esperienza libera, gratuita, autonoma e di puro piacere della lettura fin dalla primissima infanzia, senza che gli adulti si sentano necessariamente investiti di un “compito” da assolvere come mediatori. In questo senso i libri-gioco aiutano a sviluppare i processi cognitivi e rappresentano una palestra per sperimentare fisicamente i meccanismi narrativi che accompagneranno il bambino nella futura vita di lettore, preparandolo ad affrontare strutture e narrazioni via via più complesse.
Infilare il dito in un buco è lo stesso meccanismo che mettiamo in atto quando, leggendo un romanzo, riempiamo un vuoto narrativo immaginandoci come andrà a finire. A questo proposito Umberto Eco scriveva che “I libri sono meccanismi pigri che hanno bisogno del lettore per funzionare”.
Ruolo primario del bibliotecario diventa così scegliere i libri-gioco con le strutture narrative più interessanti per promuovere letture interattive e in condivisione dove il bambino sia il centro dell’attenzione dentro e fuori la biblioteca.


Libri-gioco in ludoteca: uno spazio di incontro trasversale

La ludobiblioteca dell’ospedale pediatrico Anna Meyer di Firenze è uno spazio culturale sperimentale in cui, dagli zero ai sedici anni in modo trasversale, il gioco è messo al centro e dialoga con la lettura e altre forme espressive molto familiari ai bambini, come il teatro, l’animazione e la pittura. “Leggere, giocare e fare amicizia”!
L’idea di uno spazio comune, ricorda Manuela Trinci, ha radici nel fatto che narrare e giocare sono entrambe attività istintive dell’essere umano e nei processi della lettura e della narrazione ritroviamo i meccanismi psichici propri del gioco, la rappresentazione e l’identificazione.




Libri-gioco e scienze cognitive: un terreno comune

Francesco Pavani dilata la prospettiva rintracciando nell’interazione con l’ambiente e nella multisensorialità ciò che lega le scienze cognitive alla progettazione e all’uso dei libri-gioco.
La prima cosa che un bambino spontaneamente fa è sperimentare lo spazio in cui si trova, percepito autonomamente e indipendentemente dalla presenza e dalla mediazione dell’adulto. Il libro, tanto più il libro-gioco, diventa parte integrante di questo spazio, diventa esso stesso uno spazio, un’ambiente, con cui interagire facendo leva sui processi cognitivi che il bambino applica già nella sua relazione quotidiana con il mondo (infilare le dita in un buco, aprire, chiudere, strappare etc).
Quanto più il libro-gioco ripropone elementi che il nostro sistema cognitivo è abituato a gestire, da milioni di anni e al di là delle diversità culturali e della geografiche, tanto più risulta ergonomico anche da un punto di vista cognitivo.
Il lavoro del progettista sta quindi nel trovare il giusto equilibro tra guidare il bambino-lettore nel libro-ambiente e lasciare margini di libertà per farlo sperimentare ed agire autonomamente.
Un’interazione ed esplorazione che è sempre multisensoriale, in cui un bambino vive l’esperienza del libro con i diversi sensi calibrando le informazioni che ne arrivano e completandole una con l’altra: le forme non si possono solo vedere ma anche toccare.